La mostra, allestita per il centenario della nascita del pittore maceratese, ripercorre tutta la carriera di Monachesi, evidenziandone i momenti più originali, soprattutto nell'uso dei materiali. Monachesi nacque a Macerata nel 1910; nel 1922 Ivo Pannaggi allestì nel Convitto della città una mostra sul futurismo che ruppe gli equilibri indolenti e sonnacchiosi della provincia. Anche a seguito di ciò, Monachesi si iscrisse all'Accademia delle Belle Arti e divenne un futurista, ben oltre il periodo di vita del movimento. Risulta calzante la definizione, per descriverlo, di "eterno provocatore, animatore di movimenti artistici che spesso suscitavano lo sdegno dei benpensanti, ha tenacemente orientato la sua esistenza verso il futuro".
Il percorso si apre con le sculture che riprendono le forme primarie, prismi e parallelepipedi con gli originali in gesso e le riproduzioni in alluminio "Astrazione plastica", "Suonatore d'arpa", "Il dittatore", ma soprattutto la serie "Alluminio a luce mobile"). Poi le nature morte, che mi sono parse particolarmente vicine alla poetica di De Pisis (tranne le due originali "Natura morta in bianco"). Durante la seconda guerra mondiale sente la necessità, imprescindibile, di raccontare i bombardamenti aerei, con una visione nuova (oltre l'aeropittura, pure presente in mostra): descrivere dall'alto i frutti dei bombardamenti. Insieme espose a Roma quadri con fiori, accostamento audace e significativo, con cui prende le distanze apertamente dal futurismo (anche se in radice il suo atteggiamento nei confronti della realtà lo rimarrà sempre).
Negli anni subito dopo la guerra è a Parigi, impressionato dai condomini di periferia che sostituiscono in breve tempo e per esigenze abitative urgenti gli edifici danneggiati dalla guerra. Sono queste le sue opere più sorprendenti, i "muri ciechi" e le "clownesses": i primi ritratti di una società che si sta sempre più chiudendo in se stessa, espressa da unità abitative prive di finestre sui muri alti che nascondono cielo e panorama; le seconde figure a metà tra onirico e circense, rappresentazioni di una interiorità che mal si esprime in un quotidiano bigotto e "benpensante". Rilevante il contrasto tra "Figure nuove" e "I due mondi" e gli "Obelischi di Roma" e "Piazza Navona", il colorismo dei fauves e l'intimismo di De Pisis.
Seppure siano meno convincenti le ceramiche, soprattutto quelle con chiaro fine provocatorio (a partire dai titoli, come "Incazzatura"), la vera sorpresa sono le sculture della fine dell'esposizione, opere in cui Monachesi sperimenta nuovi materiali più leggeri, maneggevoli e trasparenti (metacrilati, resine espanse) di quelli tradizionali, materiali addirittura riciclabili temporaneamente per altri fini e poi tornare al loro ruolo artistico (gommapiuma). La sala con le "Evelpiume" che pendono in penombra è emozionante: i grandi fogli di gommapiuma sono piegati e legati a creare forme sempre nuove, che hanno la loro forza nella ripetizione mai uguale e nel raggrupparsi per una idea totale e non individuale (Monachesi sollecitava i visitatori ad esibirsi legando i grandi fogli di gommapiuma con lo spago, come a Civitanova Marche nel 1965), forme che rimandano a fiori ed elementi astratti, non voluti, come casuali. Azzeccato il contrasto delle gommepiume coi colori fluorescenti dei perspex della sala precedente collegata spazialmente, opere realizzate con le mani evocando forme arcane senza cedere al plasticismo.
Il bel catalogo De Luca riporta tutte le opere in mostra, in modo assai efficace per i dipinti e le prime sculture, con un effetto meno stupefacente che dal vivo per le gommepiume e i perspex: le prime sono in catalogo meglio visibili ma perdono l'effetto generale, i secondo non rendono abbastanza in foto. Davvero imperdibile il ricordo in catalogo di Luce Monachesi del padre, un ritratto affettuoso e puntuale dell'uomo e del pittore, inserito perfettamente nel contesto culturale di cui era protagonista. Ottimo l'articolo sul pittore di Stefano Papetti, curatore della mostra, che appunto parla di Monachesi come di "futurista per sempre", nel senso sopra ricordato (anche Luce Monachesi dice "sempre futurista nell'anima").
Invece meno evidente nei pannelli espositivi la esperienza del Manifesto Agrà, di cui sono presenti in mostra tre opere significative. Nel complesso la mostra risulta un'occasione da non perdere, non solo per i marchigiani o gli appassionati del futurismo: magari da unire Gino De Dominicis (anche lui marchigiano) al MAXXI.
Roma, Fondazione Roma Museo, fino al 24 ottobre 2010, aperta da martedì a domenica dalle 11 alle 20 (lunedì chiuso), ingresso euro 6,00, catalogo De Luca, infoline 06.6786209, sito internet www.fondazioneromamuseo.it
FRANCESCO RAPACCIONI